Finita la terza puntata di Che Tempo che Fa del Lunedì, non possiamo più fare a meno di esprimerci. Pur nella premessa che la trasmissione è un innegabile prodotto di qualità che riesce a infrangere la soglia del pensierino semplice per portarci alla fase più matura della riflessione, che gli interventi di Neri Marcorè e di Massimo Gramellini (ma anche di Michele Serra e di Stefano Benni la settimana scorsa) sono di un livello stratosfericamente alto rispetto alla media della televisione, dobbiamo dirlo: Fabio Fazio è malinconico. La scenografia è crepuscolare. Paolo Rossi fa tenerezza in esibizioni che hanno solo la funzione di ricordarci quanto era bravo in passato.
Il “quelli che”, leit motiv della trasmissione, non basta che è antico ma fa nascere nel telespettatore anche l’ansia che Fazio prima o poi inizi a cantare. Il continuo annuncio dell’arrivo di Roberto Saviano si pone a metà tra una minaccia, pena l’azzeramento del senso civico nel caso in cui non lo si guardi, e una preghiera di non cambiare canale. Il momento poi dell’intervista ad Antonio Cassano potrebbe essere definito e analizzato in vari modi. Ma noi ne sceglieremo uno solo. Triste. Triste per le parole del calciatore che nella loro semplicità mappano un deserto culturale dove non hanno appiglio nemmeno le allucinazioni. Triste per Fazio, stucchevole nel ruolo dell’intervistatore (fintamente) tonto, lo stesso che siamo ormai abituati a vedere con la Littizzetto, in gag che trasformano lo studio di Che tempo che fa in un posto dove si dicono cose che… nemmeno nei peggiori bar di Caracas.
E pensare che due settimane fa c’è mancato poco che al Cardinale Ruini chiedesse se avesse rispettato il voto di castità e dopo un’intervista così serrata non lo ha nemmeno invitato a Sanremo 2013. Invece a Cassano, sì. Che poi chi glielo spiega a Carlo Conti che a lui il Festival non lo fanno condurre, mentre Cassano lo invitano come ospite per ben due volte? Non fosse bastata la performance del calciatore con la Clerici di qualche edizione fa. Fossimo in Fazio, non sottovaluteremmo la capacità del pubblico italiano di compiere il gesto estremo anche di fronte al Festival. Cambiare canale.
Ieri sera, dopo aver partecipato alla prima puntata e provvidenzialmente saltato la seconda che si contrapponeva al Rock Economy di Celentano, è tornato anche Roberto Saviano, che ormai possiamo definire il Bignami della Direzione Investigativa Antimafia. Un concentrato di informazioni, nomi, indagini e correlazioni che il cervello è rimasto, ma la fuga dei capelli è stata inevitabile. D’altronde per addormentarsi c’è chi conta le pecore e chi conta i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Secondo voi cosa conta Saviano?
Detto questo, nessun dubbio che Roberto Saviano sia un uomo che merita rispetto e ammirazione. È preparato. È coraggioso. Però, diamine, un po’ monotematico. Per lui non esiste altra infiltrazione che quella mafiosa. E quelle dell’acqua provocate dalle tubature vecchie del tipo del piano di sopra? Quelle che poi ti costringono a chiamare l’impresa per ridipingere il soffitto? Esistono anche quelle. Certo se c’è una possibilità che un’impresa con tre dipendenti abbia collusioni mafiose, è sicuro che o capita a lui o a qualche suo amico intimo.
Siamo consapevoli che essere minacciati di morte dalla camorra è cosa tristemente diversa dalla minaccia del capo di consegnare il power point entro due ore altrimenti ce la farà pagare, però insomma nell’arco della giornata un paio di momenti di leggerezza se li potrebbe pure ritagliare. E che lo faccia su Twitter è escluso. Infatti, leggere i tweet di Saviano è un’esperienza che rasenta i confini del misticismo. Alla lettura del ventesimo tweet viene voglia di mettersi il cilicio. Nessuno dubiterebbe della sua dedizione e del suo impegno sociale, se una volta scrivesse qualcosa di meno intenso, una cosa superficiale. Molto futile. Tipo di voler portare a cena fuori una tipa che scrive di lui su un blog. E magari lei gli direbbe pure di si. A patto che se lei scegliesse di mangiare la mozzarella di bufala campana lui promettesse di evitare il monologo sulla filiera di produzione.
1. Pippo76 ha scritto:
16 ottobre 2012 alle 15:51