Una bomba esplosa nel cuore di Oslo e poi, come in un brutto incubo, una sparatoria sull’isola di Utoya. Nel pomeriggio di ieri la Norvegia è crollata nel caos, piegata da un attacco che ha risvegliato in tutto il mondo lo spettro del terrorismo. Alle 16.26 una deflagrazione ha distrutto la sede del tabloid VG coinvolgendo anche gli uffici del Primo Ministro Jens Stoltenberg. Lo scoppio ha provocato feriti e vittime. A poche ore di distanza, sull’isolotto di Utoya (a 30km dalla capitale) un uomo travestito da poliziotto ha aperto il fuoco sui partecipanti ad un meeting del partito laburista: la strage si ripete, forse i morti sono venti-venticinque.
Da quel momento le tv di tutto il mondo hanno raccontato in diretta l’incubo della Norvegia, col fiato sospeso per la paura di nuovi ed improvvisi attacchi. Intanto sul web è comparsa una rivendicazione dell’atto terroristico da parte di un gruppo jihadista. La televisione di stato norvegese Nrk sta trasmettendo senza sosta news e immagini della tragedia nel corso di lunghe dirette. Nella serata di ieri l’emittente ha anche realizzato un’intervista esclusiva al Primo Ministro Jens Stoltenberg da una località non precisata “per motivi di sicurezza“. “I terroristi ci vogliono spaventare” ha detto il premier, invitando la popolazione a seguire le indicazioni che la polizia aveva divulgato in tv.
Nonostante il livello di allarme resti tutt’ora altissimo, suscita una dovuta riflessione il fatto che le emittenti televisive norvegesi continuino ormai da ore ad informare i cittadini mostrando loro le immagini crude della tragedia con toni pacati che non lasciano alcuno spazio alle suggestioni. In una circostanza così drammatica, la volontà dei media nordici sembra proprio quella di fare informazione in modo asettico e completo, impedendo che la paura si diffonda pericolosamente via etere.
Nel giorno del terrore, gli anchormen norvegesi mostrano un’invidiabile compostezza; il tono delle loro parole non nasconde l’intenzione di cavalcare la concitazione del momento, piuttosto comunica una esplicita volontà di dominare le emozioni per riportare al pubblico la semplice cronaca di quelle terribili ore di sangue. Sullo schermo scorrono le immagini di una capitale colpita al cuore, con le persone ferite e le auto della polizia che sfrecciano impazzite. Le sirene dei soccorsi si sovrappongono come in un concerto spaventoso, duettano con le voci ferme dei cronisti. Talvolta le sovrastano.
Il telespettatore italiano, pur non comprendendo la lingua norvegese, rimane stupito dai modi e dai toni di un giornalismo così diverso da quello a cui è quotidianamente abituato. Negli ultimi mesi, infatti, la nostra informazione ha raccontato efferati fatti di sangue come fossero puntate di una fiction noir. Spesso e volentieri, i cronisti italici hanno utilizzato parole, immagini e toni volutamente urlati per dopare di sensazionalismo la cronaca. In un’ottica gretta e provinciale, le ‘nostre’ Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e Melania Rea sono diventate protagoniste di un cluedo mediatico creato ad arte per suscitare emozioni, aizzare paure e curiosità perverse.
La Norvegia, che ieri ha vissuto eventi di maggior gravità e portata, ha al contrario mostrato un grado di civiltà capace di umiliare questo tipo di giornalismo e di impartire una nobile lezione di stile: nel giorno in cui il fantasma del terrorismo torna a spaventare con la violenza, la tv deve saper domare le emozioni e ammortizzare lo shock di un intero popolo. Il piccolo schermo non può e non deve cedere alla grande paura.
1. AnTo ha scritto:
23 luglio 2011 alle 13:09