14
aprile

Unorthodox: storia di ribellione e di libertà

Unorthodox

Unorthodox è un susseguirsi di immagini intense, che restano impresse. La miniserie di Netflix ispirata all’autobiografia di Deborah Feldman non si affida a colpi di scena o a strani artifici: le sequenze che si susseguono nelle quattro puntate raccontano una storia di ribellione e di libertà attraverso la sola forza emotiva delle vicende. I dialoghi stessi, pronunciati nella tradizionale lingua yiddish e sottotitolati, sono una scelta d’impatto.

Fulcro della narrazione è la comunità ebraica ultra ortodossa di Williamsburg (Brooklyn), contesto animato da oppressivi precetti religiosi ma anche da conseguenti ed ipocrite contraddizioni. La diciannovenne protagonista Esty (interpretata con bravura dall’attrice israeliana Shira Haas), soffocata da questo ambito e dalle sue imposizioni, decide di fuggire dopo il matrimonio combinato con il giovane e ingenuo Yanky.

Con la complicità di un’amica, Esty scappa a Berlino: l’inizio di una nuova vita, tuttavia, non è affatto spontaneo per lei. Sull’inespresso desiderio di emancipazione della ragazza pesano ancora le ferree discipline fondamentaliste con le quali ella era stata cresciuta. Nella sua mente riaffiorano in continuazione i fantasmi del (recente) passato, che ad un tratto si trasformano pure in realtà: l’intransigente rabbino ha infatti incaricato Yanky e suo cugino Moishe di trovare Esty e di riportala indietro.

L’esile diciannovenne si affaccia al nuovo mondo con un continuo gioco di rimandi e di contrasti, che la regia ottiene attraverso l’utilizzo di frequenti ed efficaci flashback. Così, ad ogni sua piccola e talvolta sofferta conquista, Esty rivive un ricordo nitido ed altrettanto doloroso della vita che la comunità chassidica le aveva imposto. La memoria e il presente si specchiano tra loro e la resa narrativa regala allo spettatore immagini di particolare impatto. La scena in cui Esty, in lacrime veniva rasata a zero (come la tradizione comunitaria imponeva dopo il matrimonio), avrà come ideale contraltare il momento in cui la giovane ritroverà la propria femminilità indossando nuovi abiti e provando a passarsi un rossetto sulle labbra. La sua danza – quasi liberatoria – in un locale notturno berlinese segnerà una sorta di rottura con il passato, quando gli unici balli ammessi erano stati quelli yiddish eseguiti al suo matrimonio.

Unorthodox presenta un confronto tra due mondi che in realtà non sono l’uno l’esatta l’antitesi dell’altro – entrambi infatti contengono, se pur in misura diversa, forme di conformismo – ma che invece sono semplicemente e profondamente diversi. Gli sceneggiatori stessi non esprimono un’aperta critica alla cultura ultra-ortodossa, ma lasciano allo spettatore l’onere di maturare un’opinione al riguardo. Emblematica la risposta che Esty rivolge ad un’amica che le chiedeva se fosse scappata da quel contesto. “No! Così sembra che stessi in prigione. Sono andata via senza dire a nessuno dove“.

Nella miniserie, la componente identitaria e la sua evoluzione vengono poste all’attenzione anche attraverso la congeniale scelta di lasciare i dialoghi nella lingua originale yiddish, talvolta mischiata all’inglese e al tedesco (sottotitolati).

La lotta di Esty per affermare se stessa durerà sino ad un climax quasi inaspettato. Ma da Unorthodox non aspettatevi un finalone definitivo (perché anzi l’epilogo sarà abbastanza aperto): la sobrietà dell’approccio, al netto delle componenti emotive irrinunciabili nel drama, è infatti una delle cifre stilistiche rintracciabili in questa serie.

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3 Commenti dei lettori »

1. kalika185 ha scritto:

14 aprile 2020 alle 21:28

Una serie potentissima; mi ha rapita. Intensa, profonda, dolorosa, ma comunque ottimista. L’attrice è portentosa. La consiglio vivamente



2. dert ha scritto:

16 aprile 2020 alle 18:31

vista e mi è piaciuta!



3. Luna ha scritto:

17 aprile 2020 alle 20:52

Ottima serie. Come piacciono a me. Una storia ben raccontata con un inizio ed una fine e soprattutto poche puntate. Molto bene :-)



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