7
novembre

LA TV CHE NON C’E’ PIU’

Stracult @ Davide Maggio .it

L’eccellente collaboratore di DM, Avanguard, ha come saprete un bellissimo blog sugli anni 80, Stracult.

Ebbene, su Stracult ogni giovedi c’è un divertente gioco Quiz80 che invita i lettori a “smascherare”, tramite alcuni indizi, un personaggio dell’epoca che si cela dietro un sorriso.

 L’ultima ”puntata” del gioco è stata vinta dal sottoscritto che ha richiesto ad Avanguard un post che confrontasse le offerte televisive degli anni 80 di Rai e Mediaset.

Il premio del gioco consiste, infatti, nella richiesta di un “post a piacere” e poichè ogni lunedi su DM ci occupiamo della storia della tv commerciale con La Grande Avventura, un confronto con la tv di Stato di quegli stessi anni mi pareva d’obbligo.

Il risultato è stato questo…

Difficile tracciare un bilancio dell’attività dei due maggiori network televisivi in quel periodo. Escludendo film, telefilm stranieri e cartoni animati che non sono oggetto di questa sorta di analisi casareccia, possiamo dire che le produzioni televisive non erano vittima di ansie da share o frutto di uno schema quasi inviolabile come invece avviene oggi. Perchè oggi la televisione è suddivisa in fasce ed è dominata da stereotipi, dai quali pare impossibile uscire. I quiz devono andare in onda sempre e comunque nella fascia preserale, le soap obbligatoriamente nel primo pomeriggio (tranne qualche raro caso), le fiction nei primi giorni della settimana, i programmi dedicati alla natura la domenica mattina e così via. S’è persa la libertà di proporre un palinsesto alternativo che permetta realmente al telespettatore di scegliere.

Una continua ed insopportabile sovvrapposizione che toglie continuamente al telespettatore la possibilità di scegliere e lo spinge nei casi più “disperati” a rivolgersi a sistemi di videoregistrazione.

Negli anni 80 invece tutto, anche in tv, era una continua scoperta. E’ giusto dire però che quest’effetto novità è arrivato con l’avvento delle Reti Fininvest perchè fino a quel momento la Rai aveva sempre e solo puntato su una certa austerity: informazione, intrattenimento, divertimento ma sempre con una sostanziale attenzione allo spirito educativo e culturale che la televisione di Stato doveva necessariamente avere.

Con le Reti Fininvest questo approccio è cambiato drasticamente. Perchè il nuovo network puntava essenzialmente all’intrattenimento frivolo e decisamente leggero. L’obiettivo primario era quello di accattivarsi le simpatie del pubblico, divertendolo ed appassionandolo. Ad ogni costo.

E lo scopo è stato presto raggiunto, soprattutto grazie al serial Uccelli di Rovo che ha messo in ginocchio Rete 4, allora ancora di Mondadori e ha costretto la Rai ad accorgersi dell’esistenza delle reti  Fininvest.

Da lì è iniziata la grande scalata delle reti commerciali: programmi mattutini come Buongiorno Italia, contenitori pomeridiani, quiz e tanta attenzione nei confronti dei bambini.

D’altro canto la Rai ha proseguito per la sua strada, modificando solo di poco e sempre in maniera graduale le sue scelte editoriali e soprattutto continuando a proporre grandi show come Fantastico, solo per citarne uno.

Perchè la Tv di Stato ha sempre fondato i suoi successi sui grandi nomi: artisti che proprio lì si erano formati e che costituivano una sorta di patrimonio nazionale. Personaggi che in breve tempo sono stati “scippati” dalla Fininvest: Corrado, Mike Bongiorno ed in un secondo tempo senza troppa fortuna Raffaella Carrà e Pippo Baudo. Tutto questo per percorrere la strada già intrapresa dalla Rai, in chiave però del tutto sperimentale.

E proprio sperimentazione era la parola chiave dei programmi della tv commerciale. Cosa che si non si poteva dire della più classica Rai, da sempre, anche per motivi politici, più reticente a fare un certo tipo di tv.
A sottolineare i tempi che stavano per cambiare erano proprio programmai Rai tra i più amati come Quelli della notte o Indietro Tutta, che con grande lungimiranza dipingevano la tv come sarebbe diventata da lì a poco. Il senso della sfida ma anche la voglia di eccedere, avrebbe portato il mezzo televisivo a cambiare completamente fino ad allontarsi del tutto dalle proprie origini.

 

Origini che hanno visto la Rai prevalere almeno in un campo: quello dell’informazione ed in generale della divulgazione. Se Studio Aperto, il primo tg della tv commerciale ha visto la luce nel 1991, il Tg1 già negli anni 70 aveva iniziato a muovere i primi passi.

E anche dal punto di vista della divulgazione scientifica e non, la Rai ha sempre avuto la meglio. Le reti Fininvest hanno provato comunque ad investire in questo campo proponendo programmi tutto sommato interessanti come quelli condotti da Licia Colò o Ambrogio Fogar ma non di certo all’altezza della concorrenza, anche per mancanza di mezzi.

Al contrario un campo in cui la Rai non ha mai voluto investire più di tanto, è quello dei telefilm italiani. Mentre Italia 1, sempre seguendo il tema della sperimentazione, proponeva tutto il filone di telefilm legati a Kiss Me Licia e Cristina D’Avena, la Rai stava a guardare, preferendo acquistare prodotti già confezionati e collaudati in altri Paesi.

L’autorevolezza e la poca voglia di mettersi in gioco della Rai contro la grinta della Fininvest, i grandi show della Rai contro gli esperimenti non sempre fortunati della tv commerciale. Questi in sostanza i cardini del grande scontro che avrebbe portato a quella continua contaminazione tra l’uno e l’altro network non sempre positiva nell’ambito di una sana concorrenza.

Se infatti oggi la Rai si “abbassa” a proporre show di dubbio gusto e Mediaset cerca di emulare i programmi che hanno sempre caratterizzato la tv di Stato, con risultati spesso scarsi, lo dobbiamo anche a questa concorrenza che è stata intesa nel peggiore dei modi. E soprattutto con le peggiori conseguenze per noi telespettatori.

Se ognuno avesse seguito la proprio “indole”, rispettando una linea editoriale coerente ed al passo con i propri tempi, forse anche la tv oggi sarebbe in uno stato di salute decisamente migliore. Invece per ora, è bene accontentarsi (anzichè no) di una copia, di una copia mal riuscita, a volte sbiadita e sicuramente noiosa. E probabilmente, con buona pace di tutti noi, destinata a durare ancora per un pò. Fino al tracollo o alla sua “resurrezione”.

 

Condivi questo articolo:
  • Facebook
  • Twitter
  • Digg
  • Wikio IT
  • del.icio.us
  • Google Bookmarks
  • Netvibes

, , , , ,



Articoli che potrebbero interessarti


mediaset-rai-2023
Auditel 2023: Mediaset è il primo gruppo (ma la Rai vince con le generaliste)


Bianca Berlinguer
Bianca Berlinguer: «Sono una donna di sinistra e lo sarò sempre, ma in Rai ero isolata e costretta a parare colpi»


cavallo rai da us
Rai risponde a Mediaset: «Vinciamo dall’inizio dell’anno. Rai1 batte Canale 5 anche in autunno»


totale tempo speso 3-9 aprile 2022
Arriva la Total Audience, Mediaset e Rai saranno ancora ‘mute’ sui dati digitali?

6 Commenti dei lettori »

1. Paolo ha scritto:

7 novembre 2007 alle 18:38

Trovo errato non tanto il cercare di emulare programmi già esistenti (è solo un’‘ennesima variante della frase “”le note musicali sono 7 per cui la somiglianza ci può stare”") quanto, piuttosto, il cercare di sviluppare sempre più canali (vedi digitale terrestre) quando non sappiamo MINIMAMENTE gestire i 6 canali in chiaro (rai e mediaset). Siamo ormai in un punto di non ritorno: con cosà tanti canali rischiamo di creare false star, personaggi effimeri (grande fratello? amici?), programmi che non potranno mai entrare nel cuore del pubblico. Se facessimo un pò di ordine, ci renderemmo conto che non serve avere cento canali per avere successo, anzi! Lodevole il comportamento di La7, che ha saputo imporsi con programmi straordinari (la valigia dei sogni, sfera, le interviste barbariche…). Credetemi, dobbiamo concentrarci sulla qualità , non sulla quantità . Parola di uno che “”sta dentro l’‘ambiente televisivo”".



2. Davide Maggio ha scritto:

7 novembre 2007 alle 18:50

@ Paolo : io credo che, invece, proprio per gli stessi motivi che hai scritto tu. sia da emulare NON “”il programma che non c’‘è più”" ma il modo di fare televisione degli anni scorsi (non solo gli anni 80). E soprattutto si debba ritornare, come ho avuto molto spesso occasione di dire, alla televisione prodotta da alcune straordinarie menti italiane che non sono (e probabilmente non saranno mai) “”formattate”". Ma ormai si procede diversamente… ed in effetti concordo con te quando parli di “”punto di non ritorno”" che per alcuni aspetti e’‘ necessario ma per altri danneggia (ed è sotto gli occhi di tutti) la tv generalista. Sono due modi di fare tv completamente diversi che devono essere tenuti distinti. I nuovi canali del dtt mediaset, ad esempio, li trovo perfetti. Sono state collocate, a mio avviso, i prodotti giusti nel posto giusto. Il problema (e la crisi) vera e propria è quella della tv generalista sulla quale non si investe più come prima. La qualità e’‘ senz’‘altro uno dei problemi maggiori



3. Paolo ha scritto:

7 novembre 2007 alle 20:46

La tua è una prospettiva giustissima. Mi hai fatto notare elementi che prima non avevo preso in considerazione. Spero però che i nuovi canali Mediaset non si facciano prendere dalla mania dello share e dell’‘auditel. è naturale che se ho un unico prodotto e ho 100 acquirenti, questi prenderanno l’‘unico prodotto… ma se ho 100 acquirenti e 101 prodotti, è naturale che uno di essi dovrà per forza morire. Ho paura che con i canali in chiaro, il digitale terrestre e Sky, questo purtroppo stia già accadendo… non trovi?



4. Davide Maggio ha scritto:

7 novembre 2007 alle 22:42

@ Paolo : credo che per il momento il problema non si ponga perchè, se non erro, non vengono ancora rilevati. Penso, però, che rappresentando il DTT l’‘evoluzione naturale dell’‘attuale tv analogica… il problema degli ascolti arriverà inevitabilmente a colpire anche il digitale terrestre. Relativamente a Sky il problema degli ascolti è a mio avviso relativo seppur indicativo. Essendo quella di Sky un’‘offerta a pagamento, infatti, gli ascolti alti o bassi che siano non influenzano piu’‘ di tanto i palinsesti. Saranno indicativi per gli investitori pubblicitari ma la pubblicità , in questo caso, non è determinante come per le tv generaliste (gratuite). Magari dei bassi ascolti contruibiranno a sfatare dei miti (Sky è fin troppo mitizzata a mio parere) e, tutt’‘al più a far si che gli stessi investitori “”tornino all’‘ovile”".



5. Raffaele ha scritto:

11 novembre 2007 alle 08:39

Salve Direi che la differenza tra la tv anni 80 e quella di oggi si può riassumere in una sola parola, scelta, scelta da parte del teleutente che aveva a disposizione 7 canali diversificati. Oggi sembrano la copia dell’‘altro, rai 1 va con canale 5, rai 2 va con italia 1, rai tre va con rete 4 e rimane fuori la 7 che ha i minimi di ascolti, comunque al minimo un po’‘ per tutti. Oggi se una trasmissione ha 5 milioni di ascolto ha avuto un grosso successo, mentre negli anni 80 sarebbe stato un flop colossale, viene data la colpa ai vari veicoli di fruizione dei contenuti, certo se in un film mi mettono 35 minuti di pubblicità su 90 di film fa andar via la voglia di vederlo, qualcuno è in grado di spiegarmi l’‘utilità del tgcom e del meteo all’‘interno di un film ? Ormai questa interruzione ha raggiunto i 14 minuti. E gli spostamenti ??? Stai seguendo una serie tv all’‘improvviso viene interrota o spostata ad altro giorno e orario. Parliamo anche della paytv, sia rai che mediaset hanno sempre avuto a che fare con



6. Marie-Lise ha scritto:

20 novembre 2007 alle 17:45

Sono francese e anche telespettatrice della tv italiana. Purtroppo la Francia e l’‘Italia hanno lo stesso problema per quanto riguarda la sua tv. Ho scritto sul mio blog alcuni mesi fa testi per quanto riguarda questo argomento. Carlo Pistarino mi ha fatto il grande piacere di scrivere il suo parere che potete leggere nel post “”Carlo Pistarino : “”La TV è ormai nelle mani della pubblicità “” . Vi invito a venire scoprire il suo commento molto interessante.

http://lartedicarlopistarino.blogspot.com/search/label/televisione

A presto,

Marie-Lise



RSS feed per i commenti di questo post

Lascia un commento


Se sei registrato fai il login oppure Connetti con Facebook

Per commentare non è necessaria la registrazione, tuttavia per riservare il tuo nickname e per non inserire i dati per ciascun commento è possibile registrarsi o identificarsi con il proprio account di Facebook.