Sheri Elwood



13
gennaio

CALL ME FITZ: JASON PRIESTLEY HA PERSO LA SUA COSCIENZA. RIUSCIRA’ UN ANTIEROE A LIBERARLO DA BRANDON WALSH?

Call me Fitz

Non conosce etica, se non quella utilitaristica. Edonismo e ambizione sono le parole che meglio tratteggiano il suo modo d’essere. Sì, Richard ”Fitz” Fitzpatrick ha fatto di audacia e intraprendenza i passepartout per una vita che rifugge da ogni morale e responsabilità. Al via da stasera su Sky Uno alle ore 21 la prima stagione inedita di Call me Fitz.

Fulcro della serie sono le avventure di Fitz, giovane rivenditore di auto usate che vive senza farsi scrupoli fino a quando - in seguito ad un incidente – arriva nella sua vita Larry, benefattore dal cuore d’oro, che sostiene di essere la sua ’coscienza’ pronta a redimerlo e a trasformarlo in un uomo affidabile.

Nei panni di Fitz troviamo un Jason Priestley deciso più che mai a lasciarsi alle spalle il bravo ragazzo incarnato da Brandon Walsh, nella serie Beverly Hills 90210, con un personaggio di temperamento opposto. “La sfida maggiore per un attore dopo aver interpretato una serie di enorme successo, come nel mio caso, è di riuscire a prendere le distanze nella mente del pubblico”. Questo aveva dichiarato a DM che l’aveva incontrato (per leggere l’intervista clicca qui), in compagnia della creatrice della serie Sheri Elwood, in occasione del Roma Fiction Fest. La kermesse capitolina è valsa a Jason il premio come migliore attore protagonista per la sezione Tv Comedy.

L’antieroe interpretato da Priestley rimanda immediatamente all’Hank Moody di Californication. Ma se la vita del personaggio di David Duchovny è frutto di una mera e sconsolata consapevolezza che lo porta a cercare rifugio nell’effimero, in questo caso la prospettiva è diversa. Per Fitz la vita è solo un gioco in cui bisogna vincere. A marcare le differenze tra i due telefilm, la presenza della ‘coscienza’ Larry che alimenta registri surreali che in Californication non trovano spazio.




12
luglio

INTERVISTA A JASON PRIESTLEY. L’ATTORE A DM: NON CHIAMATEMI BRANDON MA FITZ. TORNERO’ A LAVORARE CON LUKE PERRY.

Jason Priestley

Jason Priestley al Roma Fiction Fest

Sono passati anni da quando ha lasciato il personaggio che lo aveva consacrato icona degli anni ‘90, vero e proprio idolo per milioni di teenager nel mondo. Ora Jason Priestley è un uomo di quarantadue anni, ha recitato in altre serie tv, ma non è mai riusciuto a scrollarsi di dosso il suo alter ego televisivo, Brandon Walsh. Ci (ri)prova ora con Call me Fitz, serie canadese dove Jason interpreta un cinico e “anomalo” venditore di auto usate, un vero e proprio antieroe che si pone letteralmente all’antitesi dell’adolescente modello interpretato nel telefilm di Aaron Spelling. Proprio in occasione della presentazione della serie al Roma Fiction Fest l’abbiamo incontrato, insieme all’ideatrice Sheri Elwood e ci siamo fatti rivelare qualche dettaglio in più sulla sua ventennale carriera. A cominciare proprio da Beverly Hills 90210

 Allora Jason la prima domanda è d’obbligo: se ti chiamano o ricordano esclusivamente come Brandon ti da fastidio?

Jason Priestley: No, non è che è mi dia proprio fastidio, però è così, succede. Spero che con Call me Fitz, che mi auguro abbia successo, il pubblico comincerà ad identificarmi con questo personaggio. Sarebbe ora (ride, ndDM). 

Di fatto quando si è protagonisti di una serie di successo come Beverly Hills 90210 diventa difficile scrollarsi di dosso il personaggio.

Jason Priestley: La sfida maggiore per un attore dopo aver interpretato una serie di enorme successo, come nel mio caso, è di riuscire a prendere le distanze nella mente del pubblico. Quel che faccio io è cercare di trovare dei progetti che siano sempre nuovi e finora – sotto questo punto di vista - mi pare di essermela cavata abbastanza bene.

Quali sono state le ragioni del successo straordinario di Beverly Hills 90210?

Jason Priestley: Di sicuro il fatto che nelle prime stagioni si sono affrontate tematiche sociali delicate nel migliore dei modi. Nelle ultime, invece, la serie è divenuta come tante altre.

Sheri Elwood: A mio avviso in quegli anni Beverly Hills rappresentava un po’ il mondo di Hollywood e per la prima volta la vita dei divi diventava, per così dire, accessibile agli occhi degli adolescenti da casa.