8
febbraio

FESTIVAL DI SANREMO 2017, BIG: PRIME ESIBIZIONI E PRIME IMPRESSIONI. SAMUEL SORPRENDE

Attendendo che si alzasse il sipario sui primi 11 campioni del Festival di Sanremo 2017 c’era chi tifava Al Bano per affetto, chi Lodovica Comello o Alessio Bernabei per anagrafe, chi Samuel magari per partito preso o per senso d’appartenenza piemontese e chi era prevenuto su qualcuno a prescindere. Tutto ciò prima di ascoltare le canzoni in gara: in realtà, si licet esser banali, il brano scelto e l’esecuzione live hanno fatto, nella serata d’apertura, la differenza. Si proceda in ordine, e senza pregiudizi. 

Giusy Ferreri non è, evidentemente, venuta a Sanremo per vincere (sta comoda a metà classifica, è arrivata decima una volta e nona un’altra) ma per entrare di prepotenza nella rotazione radiofonica (dove ha saputo spesso volare alto). La sua canzone Fa talmente male è, infatti e a tutti gli effetti, una piacevole cantilena catchy: dopo una partenza più lenta il brano, prodotto da Ketra e Takagi, comincia ad acquistare ritmo col primo ritornello e (si) trascina fino al culmine che coincide coi vocalizzi in cui l’interprete è solita dilettarsi e distinguersi (anche se la voce è stata davvero deludente e dispiace).

Portami via di Fabrizio Moro ha un attacco del tipo La cura (il cantautore pronuncia perfino la parola “ipocondria”) ma poi diventa un brano in pieno stile Moro col suo grido che aumenta di frase in frase e che, in questo caso, esplode con gli archi finali. Fabrizio, più romantico del solito, ha sorriso dopo aver cantato forse per un senso di liberazione: è uno che, non c’è dubbio, dà tutto quel che ha da dare.

Elodie con Tutta colpa mia non è solo colei che ripete più di chiunque altro la parola “amore” ma sorprende per maturità, e la sua ottima interpretazione è ancora più convincente del brano che ha scelto. La cantante seconda classificata dell’ultimo Amici sta cercando, fra Noemi e Nina Zilli, la propria strada e procede nella giusta direzione.

Se Il cielo non mi basta di Lodovica Comello ha risuonato come una colonna sonora per un classico film a lieto fine, Che sia benedetta di Fiorella Mannoia è un brano decisamente istituzionale: un inno alla vita col quale l’interprete (qui “combattente” sul serio) conferma la sua bravura e la sua autorevolezza puntando direttamente al podio (per stile e slancio non siamo del resto lontani dal Roberto Vecchioni che ha vinto il Festival con Chiamami ancora amore).

Alessio Bernabei, con Nel mezzo di un applauso, si affida a un pop internazionale che invaderà le radio, che si poggia sui archi classici e su tendenze contemporanee e che mostra un certo miglioramento nella voce e nei testi dell’ex leader dei Dear Jack (sfortunato a salire sul palco dopo la Mannoia).

Al Bano ha scelto, per il suo quindicesimo festival, Di rose e di spine, una vera e propria romanza (lo si è detto in più occasioni) e ha dimostrato di essere uno dei pochi che può cantare certe arie con credibilità: fa vibrare le gioie (le rose) e i dolori (le spine) dell’amore totale, e si “aggira” con sicurezza nella sua “scenografia testuale-teatrale” fatta di una notte, del fuoco, di un temporale, del sole eterno e del mare infinito. Presenta sempre delle belle canzoni Al Bano al Festival, bisogna dirlo.

Vedrai di Samuel ha un qualcosa dei Jamiroquai, ma il brano nei fatti prende lo stile Subsonica e, senza pruriti, lo arricchisce in direzione di un pop elettronico deciso e solo apparentemente semplice, ed è qualcosa che esce un po’ dal solco sanremese e si fa agilmente apprezzare (anche per la gran classe dell’interpretazione e per il pieno controllo della voce che la supporta). É lui la vera sorpresa della prima serata, e pensare che non è nemmeno più “il nuovo che avanza”. Non crediamo, invece, che Ron abbia fatto bene a partecipare al Festival, perché non può contare su un Vorrei incontrarti fra cent’anni, nemmeno lontanamente: ne L’ottava meraviglia manca il testo e manca la melodia.

Clementino canta, come sempre, la propria generazione e il testo di Ragazzi fuori appare impegnativo (un po’ incolore?) ma probabilmente impegnarsi non basterà, nonostante la verità con cui ha caricato l’esibizione e la bella parte finale con cori e violini. A proposito di testi impegnati, e per concludere, Ermal Meta con la sua Vietato morire colpisce nel segno e lascia il segno, non a caso l’albanese naturalizzato italiano è uno degli autori migliori del panorama nostrano: qui canta la violenza con gli occhi di un bambino che la racconta alla propria madre. C’è lo spessore, c’è la melodia e c’è la voce (e magari ci sarà pure un Premio della critica se la Mannoia non sarà l’asso piglia tutto o Gabbani l’outsider).

Questa sera si esibiranno gli altri 11 big in gara, dunque c’è ancora una giornata per tifare qualcuno per il solo gusto di farlo: in attesa che la canzone sulla quale puntate tutto, avendo in mano nulla, vi dia ragione o vi deluda e che un’altra vi attragga senza alcun preavviso.



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