Che finalmente si riuscisse a restituire in maniera completa l’essenza di un format di successo, sarebbe stato forse chiedere troppo. Questa volta l’amara sorte è toccata a Gogglebox, il fixed show inglese che si propone di “guardare chi guarda la tv”, ora sbarcato anche sugli schermi nostrani. L’impressione è però che la versione italiana, in onda ieri sera su Italia 1, costituisca l’ennesimo esempio di un mancato sfruttamento delle potenzialità di un buonissimo prodotto tv. Senza considerarne lo slot di messa in onda (seconda serata, 23.50, per un titolo che altrove regge senza problemi un prime time), l’adattamento dello show creato da Tania Alexander non si è mostrato pienamente soddisfacente.
Sul fatto che si trattasse di un’idea originale e di un modo diverso di fare metatelevisione non c’erano dubbi. Ma la piacevolezza della sperimentazione (ormai garanzia di Channel 4), acquista forza solo se si riesce a trattare in maniera astuta e minuziosa gli elementi base di un programma.
Nel caso di Gogglebox, il principio fondante è la semplicità di porre al centro della ’scena’ il cittadino medio, spiandolo in un’attività quotidiana fin dalle sue origini insita nella vita familiare: guardare la tv. Di conseguenza, lo avevamo già anticipato, il segreto del successo per un contenuto che si basa sulla purezza della quotidianità consiste nell’intervenire a livello di pre-produzione (con un buon casting e una giusta selezione dei programmi) e di post-produzione. La versione italiana del programma, però, sembra aver peccato proprio nel mettere in pratica il primo punto.
La logica suggerisce che, per poter rendere interessante una realtà priva di filtri, sia necessario agire su una perfetta scelta dei protagonisti. Non potendo costruire personaggi, la particolarità di Gogglebox sta proprio nel proporre una rappresentanza vasta e completa della popolazione, con un giusto mix di normalità e stravaganza. I “gruppi di ascolto” visti ieri, al contrario, si sono mostrati troppo simili e lineari. Anzitutto, non hanno trovato spazio la “regionalità” e il provincialismo, in un asse Milano-Roma-Napoli che ha smorzato un elemento non soltanto fucina di divertenti intercalari, ma anche capace di distinguere più facilmente i protagonisti, i quali si sono mostrati peraltro piuttosto piatti, con pochi slanci e commenti irriverenti. A subirne le conseguenze sono così la vivacità dei singoli frammenti e la piena identificazione dello spettatore, spiazzato peraltro dall’effetto stridente della mancanza di realismo.
Non tutti i volti sono sconosciuti al piccolo schermo (come Don Mario, ad esempio) e alcuni di loro sembrano assumere un atteggiamento poco naturale (è il caso delle “dive” Roselyne e Conny), senza considerare che l’ormai consueta abitudine di guardare la tv utilizzando un secondo schermo (sia uno smartphone o un pc) viene completamente a mancare. Grande assente è soprattutto la sfera di Twitter, anche rispetto alla messa in onda stessa, promossa con un hashtag per ogni famiglia ma poi animata soltanto da un misero riferimento fisso a #goggleboxita.
Seconda nota dolente è, poi, la selezione dei programmi proposti agli “osservati”, da cui emerge ancora una volta la difficoltà di Mediaset nel distaccarsi dal passato. Tra i titoli scelti, la maggioranza è legata al network di Cologno Monzese (come Grande Fratello VIP, Bring the Noise o il dibattito Clinton/Trump trasmesso da Tgcom24), mentre, fatta eccezione per Braccialetti Rossi, il resto dei contenuti non rappresenta appieno la programmazione settimanale più rilevante (come invece previsto), dimenticando alcuni dei titoli più noti, che possano peraltro aprirsi anche alla dimensione pay (si veda alla voce X Factor). Una sorta di egocentrismo innaturale, questo, che contraddice al contempo la decisione di affidarsi alla stessa voce narrante (quella della doppiatrice Eleonora De Angelis) di altri noti racconti tv, dando così l’impressione di non trovarsi tanto su Italia 1 quanto, piuttosto, su Real Time a guardare Il Boss delle Cerimonie o, ancora peggio, Alta Infedeltà.
Nonostante ciò, Gogglebox Italia rimane comunque veloce e leggero, capace in vari frangenti di strappare un sorriso. L’ottima idea, che si è fatta largo in tutto il mondo con la sua semplicità, scivola tuttavia proprio laddove dovrebbe rendersi realistica e fuori dagli schemi, mostrandosi ancora parte di una realtà televisiva che fatica a osare e tende a ripiegarsi su di sé, mentre al suo esterno i diversi attori del piccolo schermo giocano sempre più a legarsi e promuoversi vicendevolmente. Per il momento il giudizio non è di piena soddisfazione, ma la clemenza suggerisce di rinviarlo a trasmissione inoltrata. Per il momento, il programma della Stand By Me di Simona Ercolani ha avuto una curva per niente entusiasmante.
1. Stono ha scritto:
24 ottobre 2016 alle 12:54