Tra legami familiari complicati, adolescenti ribelli, storie d’amore sbagliate ed investimenti fallimentari, la fiction di Rai 1 Tutto può succedere ha presentato al pubblico televisivo italiano un tema ancora pressoché sconosciuto: la sindrome di Asperger, di cui è affetto il piccolo Massimiliano “Max” Ferraro, interpretato da Roberto Nocchi.
Tutto può succedere: Max ha la sindrome di Asperger
Max è il figlio di Alessandro (Pietro Sermonti), primogenito dei Ferraro e perno attorno al quale ruota l’intera ragnatela familiare, e di Cristina (Camilla Filippi), una donna che per dedicarsi alla propria famiglia ha rinunciato alla carriera. Fin dall’inizio Max viene presentato come un bambino con un carattere particolare, poco incline a stare con gli altri e con comportamenti ossessivi che i genitori, forse per paura di indagare, interpretano come capricci fuori misura.
Ma il modo in cui Max si approccia alla scuola li costringe a fermarsi a riflettere, e così, dopo attente visite specialistiche, hanno la conferma di un sospetto latente che, in un certo senso, li libera dall’incertezza: il figlio, fisicamente sanissimo e con una capacità di linguaggio e ragionamento uguale (o addirittura superiore) a quella dei suoi coetanei, soffre di un disturbo pervasivo dello sviluppo che gli impedisce di interagire normalmente con loro.
Tutto può succedere: cos’è la sindrome di Asperger?
Le caratteristiche principali della sindrome di Asperger – che prende il nome dallo psichiatra austriaco Hans Asperger – sono proprio la difficoltà nelle interazioni sociali e la propensione per interessi ripetitivi e circoscritti. Non è accertato che si tratti di autismo, anche se i due disturbi hanno alcuni elementi in comune, ma ne è stata accertata l’origine genetica su base neurologica. Le terapie riconosciute come efficaci sono quelle cognitivo-comportamentali e farmacologiche, che comunque non sono risolutive: la guarigione non può esserci.
Attraverso Max sono stati elaborati in scena alcuni comportamenti tipici di chi soffre di questa sindrome, come il bisogno di orari fissi o di schemi ripetuti, dunque rassicuranti, e la capacità di sviscerare in modo perfetto ed approfondito gli argomenti che interessano davvero (nel caso di Max gli insetti). Ma sono state messe in scena anche le difficoltà di una famiglia nell’approcciarsi alla situazione, le debolezze e la necessità di accettare la “nuova normalità”.
Benché l’idea di affrontare l’argomento non sia stata italiana – la sindrome era già presente nella serie originale, Parenthood – l’universo fiction ha avuto in questo caso un interessante potere divulgativo, adatto al concetto di “servizio pubblico”.
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1. BohBeh ha scritto:
1 febbraio 2016 alle 00:02