16
aprile

JOHN DICKIE A DM: SU HISTORY CHANNEL SVELO LA CHIESA MAFIOSA. UN ATTENTATO A PAPA FRANCESCO? SAREBBE UN AUTOGOL DEI BOSS

John Dickie

Feste patronali finanziate dalla criminalità organizzata, Messe celebrate nei nascondigli dei boss, preti disposti ad assolvere i picciotti. John Dickie scopre gli altarini – è proprio il caso di dirlo – e su History Channel racconta le connivenze tra mafia e religione. Chiesa Nostra è il titolo del documentario che lo storico inglese ha realizzato sull’argomento e che vedremo in onda in prima visione giovedì 28 maggio prossimo. In prime time sul canale 407 di Sky, Dickie condurrà un viaggio nell’Italia meridionale, là dove alcuni uomini di Chiesa hanno accettato di stringere una pericolosa alleanza con le mafie. E’ lo stesso storico ad anticiparci i contenuti del suo reportage, co-prodotto da GA&A Productions e ZDF Arte:

E’ un documentario che racconta una storia lunga, che ha una svolta importantissima in questa fase storica: il rapporto tra Mafia e Chiesa. Perché c’è una mafia devota a modo suo, ma anche una Chiesa colpevole di silenzi e addirittura di collusioni.

John, perché parli di Chiesa colpevole?

Ci sono stati dei casi di preti mafiosi, che sparano e fanno parte del mondo mafioso. Ma a parte questi episodi, che non sono tipici, più in generale mi riferisco a una disponibilità a legittimare un potere mafioso che cerca di manifestarsi in modo pubblico, per esempio attraverso l’infiltrazione in processioni religiose. Questa è una pratica molto diffusa nel sud Italia: il boss si esibisce in prima fila nella processione del santo locale o in chiesa, accanto alle autorità. E’ un modo per rendere accettabile il potere della mafia.

Di recente Papa Francesco ha detto che “i mafiosi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati“. Queste parole di condanna cambieranno qualcosa o resteranno lettera morta?

E’ proprio questo lo scopo della nostra indagine: capire se questa scomunica è davvero una svolta profonda o se invece è un gesto retorico che può essere interpretato in diversi modi e che, nelle zone ad alta densità mafiosa, non avrà conseguenze concrete. Da quello che abbiamo visto, i preti più esposti – ad esempio il cappellano di un carcere pieno di ‘ndranghetisti o il sacerdote in un territorio tradizionalmente mafioso – sono più propensi a non vedere la novità. Però c’è piuttosto un segnale di cambiamento storico nella gerarchia della Chiesa. Bisogna vedere se questo nuovo capitolo verrà comunicato anche alla base.

Il Papa deve temere ritorsioni?

Secondo me il rischio concreto di un attentato a Papa Francesco è molto basso, perché ogni mafioso scaltro sa che sarebbe un autogol clamoroso cercare di uccidere il Santo Padre. Il primo a rischiare la vita non è Bergoglio, noi abbiamo conosciuto e intervistato preti che veramente rischiano la vita e che sentono il fiato dei boss sul collo. Questi sono le vere truppe d’élite del Papa nella lotta alla mafia.

Torniamo un attimo alle processioni a rischio infiltrazione. Secondo alcuni dovrebbero essere abolite: che ne pensi?

Le processioni sono il più importante campo di battaglia non soltanto tra Chiesa e mafia, ma anche tra gerarchia ecclesiastica e preti in prima linea. Secondo me alcune semplici misure di base basterebbero a togliere l’influenza mafiosa dall’organizzazione delle feste. Innanzitutto servono messaggi molto chiari dai preti e dai vescovi e poi strumenti che già alcuni hanno sperimentato, per esempio l’utilizzo di estrazioni a sorte per stabilire i nomi di chi deve accompagnare l’immagine sacra. Inoltre non si dovrebbe consentire a persone con precedenti penali di prendere parte all’organizzazione delle processioni.

Ma associando alcune processioni al potere mafioso non rischi di screditare intere comunità?

E’ l’obiezione che si sentiva una volta, quando dicevano che non si doveva parlare di mafia perché gettava fango sull’Italia. Il modo di evitare il fango, invece, è proprio quello di togliere l’influenza della mafia da certe situazioni.

Su questi temi hai anche scritto dei libri. Hai adottato dei cambiamenti stilistici per la resa televisiva?

La tv è tutto un altro modo di comunicare, che sto cercando di imparare e mi diverto moltissimo a farlo. E’ una grossa sfida per uno storico capire le possibilità e l’immediatezza della comunicazione televisiva. Mi attira molto la sfida di comunicare in due modi diversi. Per noi in Gran Bretagna questa non è una novità: sono molti gli storici che si prestano alla divulgazione tv. In Italia è molto più raro e questo è un peccato, perché conosco molti studiosi italiani e so che tra loro ci sono ottimi comunicatori.

In un momento in cui la Chiesa gode di rinnovato consenso, non temi che il tuo reportage possa infastidire qualche telespettatore, inducendolo a cambiare canale?

Noi nel documentario abbiamo mostrato la Chiesa nel bene e nel male. Abbiamo intervistato preti che hanno subito minacce e che stanno prendendo iniziativa contro la mafia. Penso ad esempio al vescovo Mogavero, che ha avuto minacce e preso delle misure molto forti contro le infiltrazioni mafiose nelle processioni. Per quanto riguarda il discorso mafia, la Chiesa ha molte facce, che abbiamo cercato di mostrare tutte.

A tuo avviso perché questi reportage trovano difficilmente spazio sulla tv generalista?

E’ evidente che in Italia è difficile parlare male della Chiesa o evidenziare alcuni suoi aspetti critici. Sarebbe come parlare male della monarchia in Gran Bretagna.



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